DISCORSO DEL PRO. GIAN CELESTE PEDRONI IN OCCASIONE DELLA COMMEMORAZIONE DEI MATIRI DELLA GERA, SABATO 8 OTTOBRE 2022, IN PIAZZA RISORGIMENTO A LUINO


MARTIRI TESTIMONI

Giacomo Albertoli, Alfredo Carignani, Pietro Stalivieri, Carlo Tapella; Giampiero Albertoli, Dante Girani, Flavio Fornara, Luigi Perazzoli, Sergio Lozio; Elvio Copelli, Luigi Ghiringhelli, Evaristo Trentin.
Il più giovane ha diciotto anni, il più anziano ne ha ventinove. La mattina del 7 ottobre 1944 vengono tutti fucilati, quattro alla Gera, cinque a Brissago, tre alle Bettole di Varese.
Sono i Martiri della Gera. Ma se di martiri parliamo, potremmo aggiungere Maria e Rosa Garibaldi, Dolores Bodini, Angela Bianchi e suo marito, il comandante Lazzarini e tanti altri nomi, un lungo elenco. Perché sapete, il termine Martire l’abbiamo ereditato da una millenaria tradizione cristiana. Martiri ai tempi delle prime persecuzioni erano quelli che si rifiutavano di adorare l’imperatore con i titoli della divinità e per questo venivano uccisi. Vennero chiamati martiri non in quanto assassinati ma in quanto testimoni di un ideale superiore, quello è il significato di martire, una parola di origine greca che significa proprio “testimone”

CHE COSA SIGNIFICA FARE MEMORIA

Noi oggi non siamo qui a raccontare una storia che già conosciamo. Noi oggi vogliamo fare memoria di quello che è avvenuto, dove fare memoria significa innanzitutto comprendere le azioni, le ragioni, provare ad ascoltare quello che ancora qui e oggi hanno da insegnarci, raccoglierne insomma la testimonianza, ecco il punto.

LA SITUAZIONE DELL’ITALIA 80 ANNI FA

Cosa facevano questi uomini, donne, questi ragazzi, quasi ottant’anni fa? Un anno prima dei fatti che ricordiamo oggi, l’armistizio, l’Italia divisa in due. Dall’8 settembre nell’Italia occupata dai tedeschi cominciano a raggrupparsi soldati che rifiutano di consegnare le armi agli invasori e intuiscono che il momento è propizio per chiudere i conti col fascismo e con la guerra. Carabinieri, uomini che la guerra la conoscevano bene, in alcuni casi reduci di tante campagne di aggressione volute dal regime. Gli esponenti dei partiti e dei sindacati banditi dal fascismo, mai scomparsi, che intravedono l’ora della riscossa. Molti ragazzi, giovani, a volte giovanissimi. E qui nelle nostre valli, da Varese, da Milano, mal equipaggiati, male armati, si mettono a disposizione innanzitutto del Colonnello Croce al San martino.

LA RESISTENZA SUL SAN MARTINO E A VOLDOMINO

Nelle stesse ore in cui maturavano le decisioni che portano il Croce a S. Martino, iniziavano le vicende di un altro importante gruppo di Resistenti: la "Formazione Militare Lazzarini" meglio detta "Banda Partigiana Lazzarini", che operava in questa zona. Qui siamo in una zona importantissima, l’ultimo anello della catena di salvataggio verso la Svizzera e del recupero delle armi; passaggio di salvezza per i perseguitati del nazifascismo, per gli oppositori politici, per gli ebrei.
L’avventura del San Martino ha vita breve, la battaglia del novembre del 43 mette fine alla presenza di partigiani su quella cima. Invece tra Voldomino e Luino l’azione continua: un gruppo più piccolo ma non meno incisivo, con azioni di disturbo o di sabotaggio, in alcuni casi di attacco diretto a dirigenti del regime.
Noi non possiamo sapere esattamente cosa si potesse provare ad essere antifascisti nell’autunno del 44. Certo è difficile immaginare un momento più cupo, violento, dominato dalla paura di un nemico feroce e potente. Un momento in cui tutto doveva sembrare perduto. La mamma di Rosetta e Lina Garibaldi, donne di una famiglia coraggiosissima che mette a repentaglio la vita di tutti i sui membri per sostenere la Resistenza, a fianco di Don Folli prima per aiutare ebrei e perseguitati a fuggire, ospitando i giovani partigiani poi, ecco, questa donna ha parole sensate, che non possiamo non condividere: “Duilio, diglielo tu al capitano Lazzarini. Qui a Voldomino e non solo, in troppi sono al corrente della cosa. Devono andarsene al più presto, debbono fuggire in Svizzera, stanno rischiando grosso”. Ma Lazzarini e gli altri non scappano.

LE RAGIONI DI UNA SCELTA

Conoscevano bene cosa stava combattendo: un movimento, il fascismo, un groviglio di contraddizioni, che in venti anni era riuscito a tenere insieme monarchia e repubblica, controllo assoluto e libero mercato, esercito regio e milizia personale, nato proclamando una rivoluzione ma finanziato dai proprietari terrieri più conservatori. Un movimento però determinato nel culto della violenza e della guerra, che si tradusse nell’oppressione dell’uomo sull’uomo: soppressione di partiti e sindacati, controllo dell’informazione, tribunali speciali, leggi razziali all’interno e all’esterno le aggressioni a Grecia, Albania, Etiopia, è un lungo elenco. Il fascismo non è stata un’idea ma la negazione di tutte le idee e di tutte le libertà altrui. Il fascismo è un crimine. Anche a Luino, anche a Voldomino, è questo che Lazzarini e i suoi combattevano.

LA CRUDELTA’ DELLA MILIZIA FASCISTA

Poi i tragici eventi della mattina del 7 ottobre: la milizia fascista, la milizia, si badi, non tedeschi nazisti, italiani fascisti. Gli arresti, i prigionieri fatti sfilare tra la gente, le fucilazioni. Alla Gera, a Brissago, le ultime addirittura a Varese, perché tutti vedessero cosa accadeva a chi si opponeva al regime. Lo scempio dei corpi abbandonati senza la possibilità di essere seppelliti.

IL SIGNIFICATO DELLA RESISTENZA CONTRO LA BARBARIE NAZIFASCISTA

Chi parla di resistenza spesso viene contestato: ma a cosa è servito? Perché tanta sofferenza, i morti, le rappresaglie? Gli alleati stavano già risalendo la penisola e sicuramente l’avrebbero vinta anche senza l’aiuto dei partigiani, forse con più tempo ma l’avrebbero vinta. Forse questa domanda arriva da lontano, non è solo dei più giovani, è qualcosa che forse in molte famiglie italiane si è ripetuto a lungo. La resistenza è anche una guerra civile, italiani contro italiani. E una guerra civile lascia il suo strascico di divisione, di sofferenza, e la memoria di avvenimenti personali rende difficile il giudizio oggettivo.
Ma la risposta è sì, è servita la Resistenza, dalle valli del luinese agli appennini emiliani, dalla repubblica liberata dell’Ossola ai gappisti nascosti nelle città. È servita ed è servito anche il sacrificio della Gera. Perché i partigiani tra il 43 e il 45 hanno tenuto impegnato contemporaneamente sette divisioni dell’esercito tedesco, quando ogni divisione sarebbe stata indispensabile sui fronti di guerra che stavano aumentando. Che la resistenza non abbia avuto un vero valore militare è una cianfrusaglia storica, da rigettare una volta per sempre assieme ai vari “ha fatto anche cose buone”, ai “treni che arrivavano in orario”, ai miti del fascismo delle pensioni e delle bonifiche.
Ma se anche la resistenza non avesse avuto alcun valore pratico sarebbe stata lo stesso necessaria. Ricordiamo che la seconda guerra mondiale non è piombata tra noi per fatalità, era stata preparata e voluta da tre nazioni: il Giappone imperiale, la Germania nazista, l’Italia fascista. Di queste tre solo l’Italia non è stata occupata dai vincitori, non è stata disarmata, si è seduta anzi alle trattative di pace tra le potenze vincitrici. Se ciò è potuto accadere è solo merito della grande considerazione che il mondo ha avuto per lotta di liberazione italiana, A prezzo della vita si ha combattuto la barbarie nazifascista e si è riscattato il popolo italiano. La Svizzera è lì, a portata di mano, un tratto a piedi e si era al sicuro. Chi ha combattuto qui lo ha fatto per scelta, era determinato a farlo.
Eppure l’antifascismo, che dovrebbe essere patrimonio genetico degli italiani, è ancora troppe volte considerato come divisivo, qualcosa che appartiene a una parte politica piuttosto che a un'altra. Ancora la presa di distanza dal fascismo, quando per fortuna c’è, è spesso timida. Più taciuta che detta, più lasciata credere che gridata con forza.

IL FASCISMO ETERNO CHE SI NUTRE DELLA RABBIA E DELL’INSODDISFAZIONE

I più giovani dovranno nei prossimi anni affrontare sfide davvero epocali. Il nostro mondo, lo vediamo tutti, cambia molto velocemente. Guerre, la crisi climatica all’orizzonte che modificherà gli equilibri e costringerà a modificare il nostro stile di vita; per gestire il futuro non basterà costruire muri più alti. Ci sarà bisogno di lucidità e intelligenza, di studio. Quando questi mancano le stesse pulsioni che hanno generato i fascismi sono pronte a riemergere. È il fascismo eterno, come lo chiamava Umberto Eco, senza camicia nera, senza adunate in Piazza Venezia, ma che ritorna sempre, pronto a nutrirsi della rabbia e dell’insoddisfazione.

LIBERTA’ E LIBERAZIONE, UN COMPITO DIFFICILE

Libertà e liberazione sono un compito difficile, un compito che non finisce mai. La resistenza di allora è riuscita ad unire nel desiderio di libertà e le più diverse idee, le più diverse fedi politiche. Socialisti e monarchici, badogliani e comunisti, cattolici e atei, liberali e repubblicani. Il loro comune percorso ci ha lasciato un’eredità ben precisa, la Costituzione, un testo definito di compromesso; da cum-promittere, stringere insieme un patto. Che sia ancora questo patto a guidarci anche nei momenti più difficili. Lì c’è tutto, non dobbiamo inventare nulla: i diritti legati ai doveri, il prendersi cura della cosa pubblica, l’uguaglianza di dignità tra esseri umani, il diritto e dovere dell’accoglienza, il ripudio della guerra… Ci insegna soprattutto ce la democrazia, per quanto incerta, per quanto traballante, è sempre preferibile a una dittatura, qualunque essa sia.
Diceva il presidente Smuraglia, “basta lamentarsi, schiena dritta e camminare verso le stelle”

Viva la Resistenza, Viva l’Italia libera.